Dai vichinghi a oggi, i gatti sono diventati sempre più grandi

All’epoca dei vichinghi i gatti erano più piccoli di quelli odierni. Il perché non è chiaro, ma si tratta di un fenomeno in controtendenza con le altre specie domestiche: di solito i mammiferi tendono a rimpicciolirsi convivendo con la nostra specie

VIVONO accanto a noi da più di 10mila anni. Ma questa lunga convivenza non sembra aver influito poi tanto sulle abitudini dei gatti: indipendenti, volubili, testardi; irresistibili, è vero, ma ancora oggi più simili a coinquilini che a veri e propri animali domestici. Eppure qualcosa sembra essere cambiato negli ultimi millenni. Se non nel carattere, quanto meno nel fisico: i gatti moderni sono diventati sempre più grandi. Dai tempi dei vichinghi, grandi amanti dei felini domestici, a oggi, le loro dimensioni corporee sarebbero infatti aumentate in modo inarrestabile. A raccontarlo è un nuovo studio realizzato da due ricercatori della Artic University of Norway, di Tromsø, e dell’Università di Copenaghen, appena pubblicato sul Danish Journal of Archaeology.

•EVOLUZIONE IN CONTROTENDENZA
Di per sé i cambiamenti di taglia dei gatti domestici potrebbero non sembrare gran cosa. A rendere interessante lo studio, però, è il fatto che solitamente nei processi di domesticazione si osserva un andamento inverso: la taglia dei mammiferi sotto la pressione della convivenza con gli esseri umani tende a ridursi. Il cane è un ottimo esempio: rispetto al cugino selvatico, il lupo grigio, i cani domestici in media hanno dimensioni inferiori del 25%. Simile la situazione anche per pecore, capre, mucche e suini. Sui gatti invece fino ad oggi era difficile esprimersi. “Su moltissimi fronti la domesticazione del gatto è in controtendenza rispetto a quella che si osserva in altri animali, tanto che si parla di commensalità più che di domesticazione vera e propria, per indicare il fatto che il gatto ha convissuto con l’essere umano per millenni, subendo però pochissime pressioni selettive”, racconta Claudio Ottoni, ricercatore della Sapienza esperto di evoluzione e genetica dei gatti.

“Quello che sappiamo oggi – spiega Ottoni – è che hanno iniziato a vivere ai margini degli insediamenti umani intorno al neolitico, circa 10mila anni fa, e che dopo diversi millenni trascorsi come semplici ospiti, tollerati perché cacciavano topi e altri animali infestanti, c’è stato un momento, probabilmente ai tempi dell’antico Egitto, in cui sono diventati domestici”.

Ad un certo punto – spiega Ottoni – qualcosa tra uomo e gatto ha fatto click: gli uomini hanno aperto le porte delle loro case a questi cacciatori di topi, trasformandoli in autentici animali di compagnia. In questa fase ci sono state probabilmente pressioni selettive che hanno prodotto cambiamenti comportamentali nella specie, aumentando la capacità di sopportare la presenza degli esseri umani, e magari rendendo i gatti più docili, o più capaci di attirare la nostra attenzione e la nostra benevolenza. Ma non cambiamenti morfologici importanti: tutti i gatti domestici sono discendenti dell’antico gatto selvatico che abitava il Medio Oriente (Felis silvestris lybica), e si riteneva che fossero rimasti tutto sommato immutati nell’aspetto fino alla nascita delle razze attuali, create solo negli ultimi 200 anni. Detto questo, ad oggi l’evoluzione del gatto domestico rimane sostanzialmente avvolta nel mistero.

•TUTTO MERITO DEI VICHINGHI
Studiare i cambiamenti morfologici del gatto moderno, d’altronde, non è facile. A differenza di pecore, capre e bovini, esistono infatti pochissime testimonianze archeologiche dei felini. Ad aiutare i ricercatori scandinavi nel loro studio è stata una peculiare passione delle popolazioni che abitavano l’attuale Danimarca. Se tradizionalmente i gatti erano apprezzati per le loro doti di cacciatori e derattizzatori, in Europa si diffuse invece anche un florido commercio di pellicce. E intorno all’anno mille, in Danimarca le pellicce di gatto avevo raggiunto prezzi da capogiro, dando di conseguenza un forte impulso al loro allevamento. Se per i poveri gatti non deve essere stato un bel periodo, la passione vichinga per le pellicce feline oggi si rivela invece una preziosa fonte di informazioni: i corpi venivano spesso smaltiti in apposite fosse, e rappresentano un inestimabile patrimonio archeologico, che ha permesso agli autori del nuovo studio di esaminare reperti che coprono un periodo di oltre duemila anni.

•PIÙ GRANDI SÌ, MA COME?
Misurando i reperti provenienti da diversi siti archeologici danesi, e custoditi nel Museo Zoologico di Copenaghen, i ricercatori hanno potuto stabilire le dimensioni medie dei gatti che abitavano il paese tra il 200 e il 1600 d.C. E comparando le misurazioni con quelle di resti felini degli ultimi 200 anni, hanno notato un importante cambiamento di taglia: tra l’epoca dei vichinghi e la nostra i gatti sono aumentati di dimensione circa del 16%. Risultati validi solamente per le popolazioni di gatti danesi, ovviamente, ma che a detta dei ricercatori sono in linea con altri ritrovamenti effettuati negli ultimi anni in Europa. Se così fosse, resterebbe da spiegare cosa abbia provocato questo aumento di dimensioni. E le possibilità sono due: una qualche pressione selettiva potrebbe aver modificato il patrimonio genetico dei gatti, rendendoli in media più grandi; oppure, in alternativa, potrebbe essere stata una maggiore disponibilità di cibo a farli crescere di taglia in epoca recente.

Al momento è troppo presto per stabilire quale sia la risposta corretta. Ma gruppi di ricerca come quello di Ottoni potrebbero scoprirlo presto, analizzando il Dna proveniente dai nuovi reperti, e studiando alcune “firme chimiche” riscontrabili in queste antiche ossa, in grado di rivelare i cambiamenti nella dieta degli animali. In questo modo, l’evoluzione del gatto domestico si farà, via via, sempre meno misteriosa.

fonte: www.repubblica.it