Gatto, sinonimo di fascino e mistero

Etimologia

In Egitto nascono i primi termini utilizzati per indicare il gatto: Myeou, onomatopeico, è il gatto di sesso maschile; mentre ignota è l’origine di Techau, gatta, nome inciso alla base delle statuette funerarie poste nelle tombe femminili.

A partire da quest’ultimo termine, i Copti chiamarono il gatto Chau, conservatosi nel termine atto ad indicare il gatto selvatico dell’Egitto e dell’Asia (Chaus).

Nel V secolo a.C., Erodoto ebbe modo di conoscere questo felino e gli diede il nome di Ailouros (“dalla coda mobile”), termine che presto venne sostituito da Gale, vocabolo greco utilizzato originariamente per la donnola (in età tarda si utilizzò kàttos).

Nell’antica Roma il gatto selvatico veniva detto Felis, da cui derivano i nostri felino, felide, ecc.

Dal IV secolo d.C., compare il termine Cattus, di derivazione presumibilmente africana (cfr. il nubiano kadis) o celto-germanica (nei cui idiomi viene variamente riprodotta, ad esempio: irlandese cat, antico tedesco chazza, antico scandinavo kötr). Una possibile origine semitica del vocabolo potrebbe essere attestata da un’opera armena del V sec., in cui si trova catu, a cui fa riscontro il siriano gatô.

Cattus sarà all’origine del nome del gatto nella maggior parte delle lingue europee (cat inglese, katz tedesco, kat olandese, gato spagnolo e portoghese, chat francese, kochka russo).

In Africa, per indicare il gatto, vengono usati tuttora termini principalmente onomatopeici (ad esempio in Somalia è chiamato Muculel).

Una curiosità: la parola “cataro” apparve per la prima volta tra il 1152 e il 1156 nei “Sermones adversus Catharorum errores” di Ecberto di Schonau (ove egli scrisse “Catharos, id est Puros”, ossia “I Catari, cioè i Puri”). Il frate Alano di Lilla, sul finire del secolo, ne diede una etimologia denigratoria: “Dicuntur Catari a cato”, “sono detti Catari da gatto”, in quanto erano, secondo le credenze popolari, usi abbracciare il posteriore di un felino, simbolo del diavolo, nei loro riti segreti.

Storia, mitologia, leggende

Pare siano stati gli Egiziani i primi ad addomesticare i gatti, circa 4.500-4.000 anni fa, benché in una prima fase non esistesse il gatto domestico, ma questo felino venisse soltanto adorato come una vera e propria divinità .

Le prime testimonianze, risalenti all’Antico Regno, si trovano nel “Libro dei Morti”, ove il gatto, identificato sostanzialmente col leone, combatte contro Apophis, il pitone delle paludi, simbolo delle forze malvagie, allorché attacca la terra durante la notte. Gli occhi dei felini, trattenendo i raggi della luce diurna del sole (da qui deriverebbe la possibilità di vedere nell’oscurità e il loro colore rifrangente al buio), spaventarono, infatti, col loro sguardo infuocato, i malvagi serpenti e nemici di Ra, salvando il mondo. La stessa Sekhmet, dea della guerralegata a Ra, viene raffigurata come una donna con la testa di leone.

Tra le divinità egizie, si annovera poi Myeou (termine evidentemente onomatopeico che significava appunto “gatto”), personificazione di Ra sotto forma di felino; Tefnut, dea dalla testa leonina, il cui nome significa “umidità”, una delle originarie forze della creazione; Mafdet, dea che assicura la buona riuscita dei rituali di guarigione e protezione. In particolare, è stato reperito un incantesimo contro i serpenti, in cui era invocata proprio Mafdet con queste parole: “O Cobra, io sono la fiamma che brilla sulle ciglia degli dei del Caos: allontanatevi da me, perché io sono Mafdet!”

Tuttavia, il gatto era legato principalmente alla dea Bast (o Bastet). Bast, protettrice dei gatti e di coloro che si prendevano cura dei gatti, era una dea potente, legata a Ra, simbolo della femminilità, della sensibilità e della magia; proteggeva, inoltre, i bambini, l’amore, la fertilità, la famiglia e la casa. Il suo culto era incentrato nella città di Bubastis (chiamata “Per-Bast” o “Casa di Bast”), dove si ergeva il suo tempio, che Erodoto annovera tra i più magnificenti, e nelle cui necropoli furono trovate centinaia di mummie di gatti. La stessa Bast era rappresentata o sotto forma di gatto o come donna dalla testa di gatto; inoltre, si credeva che guidasse un carro da loro trainato.

Tuttavia, come tutte le divinità egizie, Bast celava anche un lato più oscuro. Si ricorda, a tal proposito, unaleggenda inerente la ricerca del Libro di Thoth, in cui una sacerdotessa di Bast, dopo aver sedotto il principe Setna, gli disse “Gioisci, mio dolce Signore, perché io diverrò tua moglie. Ma ricorda che io non sono una comune donna, ma la figlia di Bastet la bella – e non accetto rivali. Perciò, prima di sposarmi, dovrai divorziare dalla tua attuale moglie ed emanare un editto secondo il quale tu mi consegnerai ufficialmente i tuoi figli come sacrificio a Bastet, perché io non potrei tollerare che essi possano vivere e in futuro poter fare del male ai nostri figli”.

Da qui, la credenza egizia femminile che la bellezza dei gatti fosse divina, ideale, fatale, tanto che le donne si truccavano accentuando dei particolari tipicamente felini, soprattutto la forma degli occhi, per accentuarne l’aria misteriosa.

Era uso consacrare bambini a Bastet, facendo un piccolo taglio sul braccio e mescolando il sangue che gocciolava a quello di un felino. Un uomo che uccidesse un gatto, anche per caso fortuito, era giustiziato amorte e quando un gatto moriva i proprietari usavano rasarsi le sopracciglia e il capo in segno di lutto. Il gatto, la cui pupilla subisce delle variazioni che ricordavano le fasi della luna, veniva paragonato alla sfingeper la sua natura segreta e misteriosa e per la sensibilità alle manifestazioni magnetiche ed elettriche. Inoltre, la sua abituale posizione raggomitolata e la facoltà di dormire per giornate intere ne facevano, agli occhi degli ierofanti, l’immagine della meditazione, esibita come esempio ai candidati all’iniziazione rituale. Si affermava, infine, che il gatto possedesse nove anime, e godesse di nove vite successive.

Pare infine che, mentre il gatto era sacro al Sole e a Osiride, la gatta era sacra alla Luna e a Iside.