Il gatto, uno dei migliori amici dell’uomo

Dolce ma riservato, intelligente ma non obbediente, autonomo ma bisognoso di cure e di affetto, il gatto ama la casa ma anche stare fuori. Domestico ma anche selvatico. Forse per questo spesso non lo capiamo…

Solitario e schivo in natura, il gatto (Felis catus) in casa ama la compagnia. Ma anche quando vive per strada nelle nostre città, crea colonie in cui condivide il territorio con altri suoi simili. Un comportamento che probabilmente ha imparato vivendo a contatto con l’uomo.

Si affeziona solo alla casa e non al padrone, è opportunista, non si fa mai male perché casca sempre in piedi, non obbedisce quindi non è intelligente e qualche volta porta pure sfortuna. A chi non è mai capitato di sentir parlare in questo modo dei gatti! Eppure secondo alcune stime (fatte sulla vendita di cibo e accessori) in Italia ci sarebbe una popolazione di 7 milioni e mezzo di gatti “casalinghi”, quasi quanti sono i cani che vivono in casa. Anche se è molto difficile avere dei dati precisi, poiché non esiste una vera “anagrafe” dei gatti.

È infatti una specie che si sta addomesticando proprio in questi decenni – un periodo brevissimo nei tempi lunghi dell’evoluzione – e che mantiene alcune caratteristiche dell’animale quasi selvatico, libero. E nonostante la “massiccia” presenza in famiglie e cortili, il gatto è ancora poco conosciuto e, quel che è peggio, su di lui sopravvivono ancora dicerie e luoghi comuni tutti sbagliati… Vediamone alcuni.

È solitario
Il gatto, Felis catus, viene definito un animale solitario dagli etologi, gli studiosi del comportamento animale. Questo significa che per sopravvivere non ha bisogno di stare in società, cioè in un gruppo organizzato. Insomma, il gatto selvatico (parente stretto del nostro micio di casa) caccia e vive da solo. A parte il momento dell’accoppiamento. Ma questo, anche in natura, vale soprattutto per i maschi, perché la gatta ha invece dei lunghi periodi di socialità: quali la nascita, l’allevamento e l’educazione dei piccoli.

I gatti che abitano in città invece, maschi e femmine, vivono in colonie e tra loro hanno rapporti diversificati di amicizia, indifferenza, antipatia, proprio come avviene tra gli esseri umani. Le gatte inoltre, allevano e custodiscono insieme i loro piccoli, in una sorta di asilo nido. Il gatto ha quindi bisogno di socialità, di rapporti e di affetto. Per questo se ne parla come di un animale di tipo “relazionale” (ossia bisognoso di rapportarsi agli altri).

Ci sono naturalmente differenze anche tra loro: esistono gatti più o meno estroversi e più o meno interessati ai propri simili e agli esseri umani. Un po’ dipende dall'”indole” ma molto deriva dalle esperienze che hanno fatto nei primi tempi di vita. In particolare i primi due mesi sono fondamentali, ma in realtà il gatto impara fino al primo anno di vita, quando diventa “maggiorenne”, un giovane adulto. Se in questa fase ha avuto delle buone esperienze, sarà più disponibile a situazioni nuove. Viceversa sarà più “scontroso” e timoroso. Ma ci sono anche differenze tra gli esseri umani: alcune persone sono più capaci di relazionarsi ai gatti. Non dimentichiamo che è sempre un rapporto a due.

il gatto È un opportunista
Si affeziona alla casa e non al padrone. Questo poteva essere vero quando i gatti venivano impiegati come cacciatori di topi, senza instaurare con essi un legame affettivo. Una volta, come succede ancora in campagna, i gatti vivevano “per i fatti loro”, tornavano a casa di tanto in tanto e occasionalmente venivano nutriti dai proprietari. In questa situazione, il gatto conosceva bene il territorio, l’habitat in cui riusciva a trovare le risorse per sopravvivere, e ovviamente a questo si legava.

Ma c’è di più, all’idea che il gatto sia opportunista e affezionato solo alla casa, perché lì trova cibo e riparo, hanno contribuito anche gli studi dell’entomologo francese Jean Henri Fabre (1823 – 1915). Nonostante fosse soprattutto uno studioso di insetti, nei suoi libri ha parlato anche di gatti. In alcuni suoi esperimenti – che oggi sarebbero considerati maltrattamenti – portava un gatto lontano da casa, in un’altra abitazione, oppure in mezzo a un bosco. Poi per fargli perdere l’orientamento, lo metteva in un sacco che faceva roteare. E, ogni volta i gatti riuscivano a tornare a casa loro. Ma non certo dal proprietario, secondo qualcuno.

In realtà, se il gatto è amato e ben trattato, si affeziona tantissimo al suo proprietario e affronta con lui anche viaggi e traslochi (non infilato in un sacco!).

il gatto Non obbedisce
Certo non si può dire al gatto: “Vai a prendere la pallina” sperando che lo faccia. Come si è detto, in natura il gatto non vive in un gruppo gerarchicamente strutturato, dunque, come specie, non è abituato ad avere dei capi a cui obbedire. Ma questo non significa che non possa imparare a rispondere ad alcune esortazioni. Il “trucco” sta nella relazione, nel dialogo che si è creato con il padrone, nella comprensione reciproca. Per esempio, tutti i gatti capiscono il proprio nome. E, se c’è una buona relazione, dire “Vieni micio, andiamo in camera” diventa un suggerimento a cui il gatto risponde positivamente. Anche suggerirgli “Dai, micio, bravo, scendi di lì”, può ottenere un risultato, mentre non bisogna mai urlargli “Bestiaccia, viene giù”. Può anche obbedire al richiamo “Pss pss, mmcc mmccc”, ma se non lo si chiama continuamente e senza motivo. Un altro “comando” importante è “Attento!”, da usare nelle situazioni di pericolo.

il gatto Si cura da solo
Che fosse capace di autocurarsi forse era vero fino a 40-50 anni fa, nel senso che non c’erano altre possibilità e il gatto o si “curava da solo” o moriva. Ma negli ultimi dieci anni la medicina veterinaria ha fatto passi da gigante, in particolare nei riguardi dei piccoli felini di casa. Ora esistono strumenti diagnostici, farmaci, operazioni chirurgiche, integratori alimentari, per risolvere moltissimi problemi di salute. Anche molte patologie una volta imputate alla vecchiaia sono curabili (il che non significa guaribili).

Cade sempre in piedi e non si fa male
Il gatto è un carnivoro predatore molto efficiente, ma anche lui ha dei limiti. È vero che quando precipita dall’alto ha la tendenza a riequilibrarsi in modo da cadere sulle quattro zampe, anche grazie alla coda che funziona da “timone”, ma purtroppo questa abilità non sempre è sufficiente a evitare cadute rovinose e conseguenti traumi. Curiosi e audaci spesso cadono da balconi e finestre. E, se atterrano su superfici dure, come sul cemento, si possono far male, anche molto, per esempio si possono fratturare le ossa (gambe, bacino). Bisogna dunque recuperarli – di solito si spaventano e si nascondono – e portarli dal veterinario per curarli. Molta attenzione bisogna fare quando sono piccoli, se cadono da una balcone o da una finestra è difficile che riescano a sopravvivere.

Fa le fusa quando è contento
Il gatto fa le fusa per comunicare uno stato di benessere, di soddisfazione, è vero. Si tratta di un comportamento precocissimo, i micini già da neonati con le fusa dicono alla madre di stare bene, e la gatta contraccambia, in un concerto di “ron ron”. Questo sistema di comunicazione infantile permane per tutta la vita, il gatto quando è contento fa le fusa, che non sono sempre uguali, hanno sfumature e vibrazioni diverse a seconda degli individui e delle situazioni.

Tuttavia non sono sempre segno di contentezza. In momenti tragici, di forte sofferenza o persino prima di morire, il gatto fa le fusa. Come per consolarsi, per attenuare il dolore e rilassarsi. Gli amanti dei gatti e gli studiosi ipotizzano che alle fusa sia collegato un rilascio di endorfine, molecole organiche che producono una sensazione di benessere. Una sorta di antidolorifico naturale. Che comunque non esclude assolutamente l’uso di farmaci contro il dolore, prescritti dal veterinario.

Perché il gatto fa la pasta
Molti gatti “fanno la pasta” sul padrone o sui suoi maglioni. Premono e stantuffano ritmicamente con le zampine anteriori, anche quando pesano otto chili e le zampe sono diventate enormi e piene di unghie. Più raramente, alcuni, nello stesso tempo, succhiano la lana indossata dal proprietario o il suo lobo auricolare come se fosse un capezzolo. È un comportamento che arriva dalla prima infanzia, il micino fa questo gesto sulle mammelle della madre per sollecitare l’arrivo del latte. Spesso sono i gatti tolti troppo precocemente dalla madre ad avere questo atteggiamento, ma non è così automatico. Ci sono anche gatti che hanno avuto un rapporto normale ed equilibrato con la madre ma continuano a “impastare” tutta la vita.

Non è rinomato per essere un animale “obbediente” ma con un po’ di pazienza e di tempo si può insegnare anche ai gatti a rispondere ad alcuni “comandi”.

I gatti preferiscono le donne (e viceversa)
Per il gatto, il rapporto fondamentale è quello con la madre. Si potrebbe dire che questo è valido per tutti i mammiferi. Ma i gatti, nel seguito della loro vita, non avranno un branco organizzato con le sue regole e non andranno a scuola. È dalla madre che ricevono cibo, affetto ed educazione. È la gatta che insegna come comportarsi, come cacciare, cosa mangiare e chi considerare amico. Insomma, i micini apprendono dalla madre quelle che saranno poi le loro “tradizioni culturali”. E a questo rapporto primario, torna il gatto quando chiede qualcosa agli umani. Torna ad essere il bambino che fa le richieste alla mamma, un cucciolo affamato che chiede cibo e affetto (e le due cose non sono poi così diverse) e a questo richiamo è molto più facile che risponda una femmina piuttosto che un maschio. Dall’altra parte abbiamo la donna, indiscutibilmente sensibile ai richiami infantili, alla richiesta di cibo e di accudimento. Ed ecco che le due esigenze si incontrano: un eterno bambino che chiede, anche se pesa otto chili ed ha la forza di una tigre e una “mamma” pronta a nutrire e accudire.

fonte: www.focus.it