Se ti senti giù, basta guardare i gatti e ti sentirai meglio (Charles Bukowski)

“Se ti senti giù, basta guardare i gatti e ti sentirai meglio, perché loro sanno che tutto è semplicemente com’ è. Non vale la pena scaldarsi. Loro lo sanno e basta. Sono i salvatori. Più gatti hai, più a lungo vivrai. Se hai cento gatti, vivi dieci volte di più che se ne hai dieci. Prima o poi questa cosa verrà scoperta e la gente avrà migliaia di gatti e vivrà per sempre…”, diceva lo scrittore americano Charles Bukowski, nato in Germania nel 1920 col nome di Heinrich Karl Bukowski.
Bukowski, l’ uomo dalle forti passioni: amava la musica classica, l’ alcol, le corse dei cavalli, il sesso. Ma soprattutto la poesia, la letteratura, scrivere, specialmente di notte e quando era ubriaco strafatto, circondato dai suoi gatti che gli camminavano sopra la scrivania e mettevano il naso tra i suoi fogli, testimoni compiaciuti delle sue trasgressioni.
Creature dalle sette vite, arrivò ad averne fino a nove (contemporaneamente): la sua casa era diventata un piccolo gattile. Avrebbe voluto chiamarli Ezra, Céline, Turgenev, Ernie, Fëdor e Gertrude, ma siccome si definiva “un bravo ragazzo”, ha lasciato scegliere alla seconda moglie, Linda Lee, anch’ ella amante di questi animali meravigliosi. Poi però si lamentava: “Manco un Tolstoj in tutto ‘sto cazzo di gruppo”. Solo un Ting, un Ding, un Beeker, un Bhau, un Feather e un Beauty…
Bukowski, che parlava male di tutto e tutti (bollato come misogino, omofobo, sporcaccione, nazista…) tratta le sue “piccole tigri” con grande rispetto – anche quando affronta quelle più malvagie che “mangiano gli uomini” – proprio perché sono queste creature dalla «bellezza del diavolo», le prime a dare e pretendere rispetto, maestre nell’ arte della sopravvivenza. Indipendenti, fiere, combattenti senza mai tradire la loro vera natura.

Intimamente selvagge, ribelli e anche un po’ ciniche. Buk si identificava in loro, da loro si faceva ispirare tanto da dedicargli una lunga serie di poesie. Alcune, inedite, sono raccolte, insieme a stralci di saggi, nel libro dal titolo Sui gatti (Guanda, pp. 160, euro 14), che attinge direttamente ai manoscritti originali. I gatti bukowskiani, però, non sono micetti da salotto: sono guerrieri, costretti ogni giorno a fare i conti con una società spietata che li prende a bastonate. E loro affamati e malconci bussano alla sua porta, come se sapessero che ad accoglierli c’ è un brav’ uomo pronto a offrire cibo e assistenza, ricoveri in cliniche veterinarie e interventi chirurgici costosissimi. Questo è l’ amore, «alla faccia delle bassezze dell’ essere umano».
Un giorno dunque si presentò «il Manx», un vecchio gatto strabico, dal carattere tosto («un vero duro», lo definisce il vecchio Hank). Con la lingua a penzoloni e la coda mozzata. «È bellissimo, ha cervello. L’ abbiamo portato dal veterinario per fargli fare la radiografia, è stato messo sotto da una macchina», racconta. «Il dottore dice: “Questo gatto è stato investito due volte, gli hanno sparato, gli hanno tagliato la coda”. Gli ho detto: “Questo gatto sono io”.
È arrivato alla mia porta che stava morendo di fame. Sapeva benissimo dove venire. Tutti e due siamo barboni sopravvissuti alla strada».
Scrittore controcorrente (“l’ anima libera è rara”) e uomo dalla vita spericolata, sapeva riconoscere l’ anima sincera degli animali “incapaci di dire bugie”. Forze della natura, mettono di buonumore quando ti girano intorno, e regalano emozioni incredibili quando si addormentano sui piedi e fanno sentire il loro peso gentile. «Un gatto è la raffigurazione del meccanismo perpetuo come il mare… lo accarezzi solo perché lui te lo permette». Poi, certo i mici sanno essere lunatici, scostanti e vanitosi, però «quando ti senti male, proprio male, se ti metti a guardare un gatto con quel modo scazzato come fanno loro è una lezione sul perseverare contro le avversità».

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Terapia allo stato puro, sanno come insegnarti la calma e l’ ineluttabilità degli eventi: basta conviverci. Non importa quanto bisogna spendere per le scatolette di tonno, loro sono energia positiva. Lo sapeva bene Bukowski che trascorreva le sue notti alcoliche e di scrittura con loro, liberi di mettere le zampette ovunque, anche nella tazzina del caffè. Non è la loro bellezza fisica ad affascinarlo, quanto il loro essere sempre se stessi, anche dormendo 20 ore al giorno, spaparanzati ovunque ci sia un angolo silenzioso.
Viene da dire, usando le sue parole: «Nella mia prossima vita voglio essere un gatto. Per stare sdraiato da qualche parte a leccarmi il culo. Gli uomini sono troppo sfigati, incazzati e ossessivi».

Fonte: Libero QUOTIDIANO