La gatta – poesia di Giovanni Pascoli

La prima volta che ho visto una mamma gatta alle prese con i suoi piccolini ero solo una ragazza. Lei li osservava, non troppo possessiva, mentre cominciavano a muovere i primi passi e a saltellarle tutto intorno. Nel giro di pochi minuti, un paio di loro erano scomparsi. Li ritrovai, piccoli esploratori, nei cassetti della scrivania, che avevano scalato dall’interno. Mi innamorai all’istante del cucciolo rosso, che ho poi fatto ricomparire in uno dei miei racconti per bambini.

La particolarità di questa mamma gatta era che, rispetto a quanto descritto nei manuali o appreso dall’esperienza, non era troppo gelosa dei suoi gattini. Non solo potevamo toccarli, prenderli, ma ci toccava a volte occuparci di loro perché lei, gatta emancipata, aveva ancora da correre fuori casa.

Da moglie prima e mamma poi, ho trasmesso la mia passione per i gatti, naturalmente e questa è stata una delle prime storie che ho raccontato a mia figlia. Ora anche la giovane gattara di casa si incanta dinanzi alla tenerezza della maternità felina, anche se lei lo fa principalmente navigando su Youtube. Trascorre minuti interi a osservare il modo in cui le mamme afferrano i cuccioli per la collottola e si intenerisce per le storie di adozione più strazianti.

Tre anni fa, come a chiosare queste nostre passioni, ci siamo imbattute in un micetto nero di poche settimane, sparuto e sperduto, abbandonato sotto la pioggia, non si sa se dalla sua mamma o dalla mano dell’uomo. Tito oggi è un gattone nero molto bello e felice, con mamme umane che lo hanno accudito al meglio delle loro possibilità.

Giovanni Pascoli, La gatta

Mamma gatta nella poesia di Giovanni Pascoli, sanno quando è il momento di lasciare che i loro piccoli comincino a scoprire il mondo, magari con l’aiuto di amici fidati.

Era una gatta, assai trita, e non era
d’alcuno, e, vecchia, aveva un suo gattino.
Ora, una notte, (su per il camino
s’ingolfava e rombava la bufera)

trassemi all’uscio il suon d’una preghiera,
e lei vidi e il suo figlio a lei vicino.
Mi spinse ella, in un dolce atto, il meschino
tra’ piedi; e sparve nella notte nera.

Che nera notte, piena di dolore!
Pianti e singulti e risa pazze e tetri
urli portava dai deserti il vento.

E la pioggia cadea, vasto fragore,
sferzando i muri e scoppiettando ai vetri.
Facea le fusa il piccolo, contento.

Fonte: Blog.graphe.it